Santa Lucia tra mito e storia: dagli albori della tradizione alle usanze di oggi
Il passo è oramai breve e le tanto attese festività natalizie sono alle porte.
E con l’arrivo oggi 13 dicembre, di Santa Lucia e della famosa e succulenta “cuccia”, l’atmosfera si fa ancora più densa e tangibile. L’usanza di mangiar cuccìa, infatti, proprio in questo giorno, festa di S. Lucia, protettrice della vista si inserisce in quel complesso di riti e miti popolar-cristiani che abbraccia tutta, o buona parte, dell’area meridionale.
Vecchia di alcuni secoli, l’anima popolare ha creduto di trovarne un riflesso in un miracolo operato dalla Santa a favore del popolo siracusano, di cui lei è concittadina e patrona.
Alla santa si attribuisce la fine di ben due carestie a Palermo e a Siracusa e ciò ha dato inizio all’usanza di non consumare derivati della farina di frumento nel giorno della festa per ringraziamento, ma piuttosto ceci o riso nelle pietanze più disparate. Il fatto storico ci è stato tramandato da Giuseppe Capodieci nelle Memorie di S. Lucia che così annotava: «Occorre in quest’anno (1763) una grande carestia sino al 9 gennaio, in cui suole esporsi il Simulacro di S. Lucia, per la commemorazione del terremoto del 1693.
Nel farsi al solito la predica, esce di bocca al predicatore che S. Lucia poteva provvedere al suo popolo col mandare qualche bastimento carico di grano. In effetti, il giorno dopo, arriva dall’Oriente nel porto una nave carica di frumento e sul tardi un bastimento, che era stato noleggiato dal Senato; poscia un vascello raguseo, seguito ancora da altri tre, sicché Siracusa, con tale abbondanza che appare a tutti miracolosa, può provvedere molte altre città e terre di Sicilia.
Il padrone di una delle dette navi dichiarò che non aveva intenzione di entrare in questo porto, ma vi fu obbligato dai venti e seppe che era in Siracusa dopo aver gettato l’ancora; aggiungendo che, appena entrato in porto, si era guarito di una malattia agli occhi che lo tormentava da qualche tempo».
Il racconto dell’annalista siracusano, quattordicenne all’epoca dei fatti narrati, si ferma qui, ma la leggenda, presente e fatta propria da altre città della Sicilia, va oltre e aggiunge che le navi furono prese d’assalto e ognuno poté portare a casa la sua razione di grano, cucinandolo, per mancanza d’ingredienti, nella maniera più semplice. E poiché era il 13 dicembre, la popolazione decise all’unisono che da allora in poi si mangiasse, ogni anno in quel giorno, solo cuccìa e legumi.
Porta del Natale e dunque dell’anno nuovo, questa festa è imitata e addirittura magnificata in altre parti del mondo, ma per noi Siciliani tale ricorrenza ha gli stessi connotati di una festa nazionale, celebrazione del legame fra il nostro popolo e la fanciulla miracolosa che porta con se, le spighe di grano.
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