Vi siete mai chiesti perché a Santa Lucia si mangiano cuccia e arancine?
Nella notte di Santa Lucia, odori e sapori di una tradizione inossidabile e secolare riempiono i sensi dei tanti devoti e non.
In questo particolare giorno dell’anno attendono la ricorrenza della Santa e ad essa rendono devozione anche e soprattutto con il palato. Eh si, perchè Santa Lucia in Sicilia è anche questo.
Tutt’oggi, infatti, viene festeggiata la Santa sia il 13 dicembre che a maggio (festività tutta sicula) per adempiere ad un voto fatto nel 1646 durante una grave carestia, che ebbe a colpire proprio Siracusa.
A questa carestia ed al voto fatto alla Santa è legata la tradizione di consumare il frumento senza prima averne fatto farina. Ecco da dove nasce la tradizione della cuccìa. Ed ecco perchè il 13 dicembre non si consuma pane o pasta, ma cuccìa ed arancine di tutte le forme e ripiene di mille condimenti.La tradizione narra infatti che, durante la dominazione spagnola, la città di Siracusa fosse stata colpita da una tremenda carestia. Ma proprio nel momento di massima disperazione una nave carica di frumento arrivò. Un prodigio. Un miracolo. Fu in quella occasione che il grano fu consumato direttamente bollito, trasformandolo in cuccìa. Da qui in poi la tradizione culinaria ha preso letteralmente il sopravvento, trasformando il giorno di Santa Lucia, nel giorno della cuccia e delle arancine. In alcune località siciliane la cuccìa è un piatto a base di grano e legumi. In altre, come a Palermo, è un dolce a base di grano bollito e crema di ricotta. La finalità spirituale della festa, ovvero il digiuno e l’astensione dal consumo di pane e pasta nel ricordo del miracolo della fine della carestia, è inutile dire che si è persa nella notte dei tempi. Un celebre motto palermitano recita: “Santa Lucia, vulissi pani, pani unn’ aiu e accussi mi staiu”.
Il 13 dicembre è oggi un tripudio di panelle, gateaux, cuccìa e ovviamente lei, l’arancina, unica e sola protagonista di questa giornata. Inutile chiedere a un palermitano consigli su dove mangiarla. La risposta sarà sempre la stessa: “dalla mia mamma”. Se la parte occidentale dell’isola, Palermo in testa, appella al femminile il caratteristico timballo di riso prelibatamente condito e racchiuso da doratura fritta in sferica forma, quella orientale e meridionale prediligono, invece, l’arancino: conico, maschio. E considerando la fama mondiale di uno dei più tipici street food della Trinacria, si tratta di uno scisma di natura quasi religiosa. Quanto alle origini, la tradizione ci rimanda al periodo di dominazione araba, tra il IX e XI secolo. Durante i banchetti infatti, i saraceni usano collocare a centro tavola un ampio vassoio carico di riso aromatizzato con zafferano e insaporito con verdure, carne e altri aromi. I commensali allungano la mano, appallottolano il riso nel pugno e lo gustano dopo averlo condito con carne di agnello. La panatura è un’invenzione successiva, ma geniale.
La croccante corazza dorata, ottenuta mediante la frittura, trasforma il godurioso pasticcio in cibo da viaggio, in uno street food ante litteram. Qualcuno attribuisce la bella pensata al sovrano svevo Federico II, particolarmente ghiotto di arancini e desideroso di non privarsene durante le lunghe battute di caccia. Tra le mille varianti, è quello al ragù il più illustre esponente dell’immensa famiglia. Ingredienti base della ricetta dell’arancino sono il riso bollito (quasi sempre aromatizzato con zafferano), la carne macinata (bovino, maiale o vitello), la salsa di pomodoro (rigorosamente in ragù con soffritto di carota, sedano, cipolla e spesso piselli) e il formaggio a pasta filata (mozzarella, provola o cacio). Unico il tipo di cottura: la pallottola di riso, immersa in pastella e impanata, è sapientemente fritta fino a doratura.
Ricetta cuccìa dolce
La cuccia dolce può essere preparata in vari modi. In tutti i casi si comincia mettendo il grano in ammollo per 2 o 3 giorni.
Per il resto è tutta fantasia: crema di ricotta; crema di cioccolato; vin cotto; cannella; polvere di cacao; pistacchio; zuccata; etc.
INGREDIENTI
500 grammi di frumento tenero;
un pizzico di sale;
1,5 chili di ricotta di pecora freschissima;
450 grammi di zucchero semolato;
300 grammi di capello d’angelo;
150 grammi cioccolato fondente;
granella di pistacchio (a piacere);
cannella in polvere (a piacere);
PROCEDIMENTO COTTURA FRUMENTO
Il frumento si mette in acqua tre giorni prima della preparazione della cuccìa.
E’ importante cambiare l’acqua ogni giorno.
Successivamente va scolato e messo in un tegame.
Il frumento va quindi coperto d’acqua e si aggiunge un pizzico di sale prima di iniziare la cottura, che va condotta a fiamma bassa per 6/8 ore. Poi il frumento va fatto riposare in acqua di cottura per tutta la notte.
PROCEDIMENTO CREMA DI RICOTTA
Riponete la ricotta e lo zucchero all’interno di una ciotola dove potrete lavorare il tutto con le fruste di uno sbattitore elettrico (possibilmente. Altrimenti a mano). Quando zucchero e ricotta saranno ben amalgamati, fateli riposare per circa 30 minuti e poi aggiungete il capello d’angelo tagliato a piccoli cubetti e le gocce di cioccolato fondente.
PROCEDIMENTO FINALE
Scolate bene il frumento, ormai freddo, ed aggiungetelo alla crema. Amalgamate per bene e servite in ciotole, cospargendovi sopra della granella di pistacchi o della cannella in polvere.
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